Terme di Agnano
Oggi voglio parlarvi della Conca e delle Terme di Agnano, che sono a due passi da Napoli e che, purtroppo sono un pò abbandonate a loro stesse ed è un vero peccato perchè qui a Napoli abbiamo tantissimi monumenti bellissimi, ma spesso poco valutati.
  


Abbiamo Pompei, Ercolano, le terme di Baia, le terme di Agnano, la grotta di Seiano, ecc ecc e molti di essi non sono per niente pubblicizzati o addirittura abbandonati a loro stessi.

 


Da un pò di tempo ho scoperto un’associazione culturale, dal nome Sire Coop, che organizza molte visite guidate per la città di Napoli, volte a scoprire dei luoghi nascosti e poco conosciuti ai più.

Proprio con questa associazione sabato sono andata a visitare la Conca di Agnano, scoprendo delle cose molto interessanti.


La Conca di Agnano, dove attualmente sorgono le Terme, in realtà è una caldera vulcanica estinta appartenente al sistema dei Campi Flegrei, la cui eruzione ha avuto luogo 4.400 anni fa. Date le sue sorgenti di acqua termale che vi sgorgano copiose, nel XI secolo la conca si trasformò in un lago che fu però prosciugato nel 1870 con una bonifica. 

L’area è molto estesa ed occupa, su più terrazzamenti, l’intero costone settentrionale della collina.
In particolare bisogna sottolineare che il complesso archelogico di Agnano prevede strutture di età ellenistica e di età romana.
Le Strutture di Età ellenistica  (IV – III sec. a.C.) sono le più antiche testimonianze archeologiche ritrovate nella Conca di Agnano e sono situate sul versante meridionale dell’antico lago.
Le Terme romane (I-II sec. d. C.), invece, sorgono sul versante sud-occidentale della conca di Agnano, sulle pendici del Monte Spina, sono di epoca adrianea (117-138 d. C.) e si estendono su più terrazzamenti. Attualemnte, però, è visibile solo il secondo piano, perchè i restanti 6 piani sono coperti dalla montagna.
 
 


Abbiamo visto anche la famosa Grotta del Cane. Cavità artificiale ipogea di età pre-romana (III-II a.C.), scavata probabilmente nell’intento di trovare una sorgente di acqua termale o per fare uso del vapore che in essa esisteva. In seguito si è manifestato il fenomeno della “mofeta” – fuoriuscita di acido carbonico dal sottosuolo – che l’ha resa impraticabile. In questa piccola cavità, ubicata nella zona sudorientale della cinta craterica, che i viaggiatori del settecento descrivevano di quattro metri di lunghezza e uno di larghezza, vi è emissione di vapore d’acqua e anidride carbonica: essendo quest’ultima più pesante dell’aria tende ad accumularsi in basso fino a 30 – 40 cm dal suolo. Per mostrare questo fenomeno ai visitatori vi era l’uso di introdurvi un cane che dopo pochi secondi mostrava chiari segni di soffocamento. Se però l’animale veniva riportato all’esterno in tempo utile dava immediati segni di ripresa, non mostrando più alcun segno di disturbi respiratori. da qui appunto il nome della Grotta del Cane.

Molte sono le leggende legate alla grotta fra cui quella che vuole che don Pedro de Toledo, viceré di Napoli, vi facesse rinchiudere due schiavi che vi perirono o quella di due contadini che inconsapevoli del pericolo vi avrebbero trovato riparo e addormentatisi sarebbero passati senza accorgersene dal sonno alla morte. Quest’ultima leggenda appare tuttavia inverosimile in quanto la grotta ha una temperatura al suolo superiore ai 50 gradi e quindi si ha l’immediata percezione di qualcosa di anomalo.
 
Grotta del Cane
 
In seguito alla visita archeologia, idea innovativa dell’associazione Sire Coop è l’aver abbinato, in collaborazione con l’associazione  Mar Vin, una degustazione in una cantina tipica di Agnano.
Ci siamo quindi spostati  al vigneto dell’Azienda Vitivinicola Agnanum (in via Vicinale abbandonata agli Astroni n° 3, Napoli) dove nel 1960 inizia l’avventura di Raffaele Moccia, all’interno dell’oasi naturale del Parco degli Astroni, dove viene prodotto il vino Agnanum, unico nel suo genere. Quasi quattro ettari, metà vitata a Piedirosso e metà a Falanghina, di terreno sabbioso nero, che conferisce a queste uve un sapore unico. 
 
Durante la degustazione di vini, guidata dall’enologo Pasquale Poerio dell’Associazione enogastronomica MarVin, abbiamo appreso che in passato, durante un’epidemia, le uve napoletane si erano estinte ed è stato possibile recuperarle grazie alle viti piantate negli Stati Uniti. Assurdo, vero?